| DEMOCRAZIA III da Wikipedia
I contributi di Marx ed Engels 1800/1850
Marx ed Engels, causarono una rottura drastica con il pensiero liberale, sostenendo che esso è incompatibile con la giustizia e l’eguaglianza. Essi proposero sistemi politici totalmente diversi e nuovi. Il pensiero di Marx si basa sugli scritti di Engels. Quest’ultimo nell’opera L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato racconta la nascita delle classi sociali in seguito alla creazione della proprietà privata in contrapposizione alla proprietà comune preesistente. Marx sviluppò questa tesi sostenendo che il sistema vigente si basava proprio sulla divisione del popolo in classi. Più precisamente, lo sfruttamento della classe più povera da parte di quella che detiene la proprietà dei mezzi di produzione. Entrambi erano d'accordo all’idea che se si superasse il capitalismo, anche le classi sociali non avrebbero più ragione d’esistere e scomparirebbero. Marx focalizzava il suo pensiero sulla comprensione del processo storico, perciò stabilì due concetti principali per questa analisi. La Formazione sociale, ovvero l’analisi di quella rete di rapporti sociali, culturali e istituzionali interni alla società. Il Modo di produzione, cioè la struttura essenziale della società, in questo caso capitalista, quindi con lo sfruttamento della manodopera. Lo sfruttamento avviene con il metodo del plusvalore in eccesso creato nel processo produttivo, sottratto dal proprietario dei mezzi di produzione a scapito della manodopera. In rapporto a questi due concetti, nelle società si sviluppano le lotte di classe. Esse saranno tanto più violente quanto più è mal distribuita la ricchezza in un paese. Questi conflitti portano a un ridimensionamento periodico della differenza di ricchezza, rivoluzionando di volta in volta il sistema e attuando un passaggio da uno stadio storico a un altro. Nella storia umana, secondo Marx, si è attraversato 5 differenti stadi storici: Modo di produzione primitivo (comunismo primitivo), Modo di produzione antico, Modo di produzione asiatico, modo di produzione feudale, Modo produttivo capitalistico. Egli sosteneva che il prossimo stadio storico sarebbe stato quello che è comunemente chiamato modo produttivo comunista. I motivi tecnici per cui, secondo Marx, sarebbe avvenuto questo passaggio storico, sono i seguenti: Nel capitalismo, i beni sono prodotti essenzialmente per il profitto non per la soddisfazione dei bisogni umani. Il capitalismo, non è un sistema armonioso, esso causa periodiche crisi e conseguenti conflitti sociali. Intrinseco al modello capitalistico è il fatto che si susseguono periodi di boom economici a periodi di gravi crisi. Nei periodi di crisi, avviene un concentramento delle industrie producendo oligopoli e monopoli e una fitta rete di interdipendenza tra le imprese, che diventano più instabili. Infatti il fallimento di una di esse può produrre un devastante effetto domino. Gli effetti peggiori delle crisi si ripercuotono sulle classi deboli che intensificheranno quindi la lotta di classe. I conflitti di classe nel tempo producono organizzazioni capaci di sfidare lo stato democraticamente e non. Il comunismo che è il fine di queste organizzazioni, non è che il naturale passo successivo all’evoluzione della democrazia. Il capitalismo, quindi non è, per Marx, compatibile a lungo termine col sistema democratico. Nel modello democratico-capitalista, lo stato assume la funzione di arbitro imparziale, ma questo trattamento apparentemente egualitario produce degli effetti di parte, in quanto la difesa della proprietà privata della produzione, scartava per forza la possibilità di difesa del proletariato sfruttato. Nonostante questo, il capitalismo per Marx, era stato un passo avanti nell'aver apportato il suffragio universale e l’eguaglianza politica. Questo però per Marx non bastava per assicurare una società socialmente giusta. Nell’analisi marxiana dei rapporti tra lo stato e le classi sociali, vengono sintetizzate due posizioni diverse. Con la prima posizione, Marx afferma che lo stato ha un potere comunque autonomo dalla classe dominante, nonostante la minima e essenziale dipendenza da quest’ultima. Questa prima posizione, Marx la spiegò attraverso l’opera "il 18 brumaio di Luigi Napoleone", prendendo ad esempio proprio la vicenda del generale francese[senza fonte] che si impose al governo e perseguì i suoi scopi favorendo comunque la classe dominante, dando vita a una sovrastruttura statale indipendente nelle sue decisioni anche se per forza compatibili con lo sviluppo economico. Da un'altra posizione, sostenne che stato e la sua burocrazia sono dominate dall’influenza della classe privilegiata. Questa è la posizione più problematica, dove lo stato è mascherato dall’eguaglianza della libertà ma svolge essenzialmente il compito della difesa della classe dominante. Non è quindi auspicabile la libertà di tutti gli individui in un sistema democratico liberale, perché minerebbe le fondamenta stesse dell’assetto capitalistico. Marx, non propose mai un modello preciso su come sarebbe dovuto essere strutturato il nuovo modello comunista, a causa della sua convinzione per cui in ogni paese si sarebbe potuto avere un modello differente. Pose però alcuni criteri essenziali di questo probabile cambiamento, nella sua opera "La fine della politica". Secondo questa opera, il proletariato, violentemente o democraticamente si sarebbe impossessato del potere del governo e proprio da lì avrebbe successivamente eliminato il potere politico, lasciando allo stato il compito di semplice amministratore della cosa comune. Il processo probabilmente sarebbe avvenuto in due periodi, denominati in seguito socialismo e comunismo. Alla fine, con l’annullamento della politica, sarebbero scomparse anche le classi sociali. Il sistema avrebbe probabilmente preso, secondo Marx, le sembianze della comune di Parigi, ovvero un ordinamento piramidale e dinamico a causa del frequente giudizio popolare. Le teorie di Marx hanno fatto nascere diverse interpretazioni, di cui, le tre principali rispecchiano tutte dei concetti fondamentali del suo pensiero. I marxisti libertari affermano che il processo di cambiamento non può avvenire attraverso un partito democratico del proletariato, solo in questo modo la rivoluzione può effettivamente eliminare la politica e assicurare lo stato comunista. I marxisti pluralisti sostengono che la trasformazione del sistema debba avvenire attraverso il cammino democratico. Per cui, bisogna attuare l’insediamento legittimo della classe proletaria con il proprio partito all’interno del governo, per cambiare radicalmente la struttura statale democraticamente. I marxisti ortodossi, infine, auspicano la necessità di un partito rivoluzionario guidato da un leader[senza fonte], che possa pianificare la rivolta e la riuscita della rivoluzione. (seguaci di queste idee furono Stalin, Mao ecc..)
Il contributo di John Stuart Mill 1850
A differenza dei suoi predecessori, John Stuart Mill, lo si può considerare democratico in senso pieno. Aspetto fondamentale del suo pensiero fu la libertà di cui avrebbero dovuto godere tutti. J. S. Mill affermò che la partecipazione politica del popolo è necessaria e va incitata attraverso tutti gli organi pubblici, come ad esempio l’amministrazione comunale. La sua opera principale "On liberty" espone chiaramente i principi di libertà dei cittadini per cui si sarebbe dovuta creare una forma efficiente di controllo reciproco tra governo e governati. Le sue teorie posero le basi del moderno stato liberale. Criticò aspramente il sistema dispotico con l’opera "Considerations on representative governement", dove sostenne che non è possibile l’idea che un solo uomo possa amministrare in maniera adeguata uno stato. Aggiunse anche che sarebbe stato contro la dignità umana eliminare la voce dei cittadini sulle decisioni che li riguardano. Quindi, pensava che solo una attiva partecipazione del popolo, nei limiti, avrebbe indirizzato uno stato verso la prosperità. Mill espose in maniera dettagliata il problema della burocrazia, che strettamente collegata all'evolversi dello stato cresceva rischiando di aumentare in maniera eccessiva il suo potere. Necessario sarebbe che oltre lo Stato ci siano altri punti di riferimento in termini di sviluppo in modo da mantenere un equilibrio tra forze che si controllino a vicenda. L’importanza di un governo rappresentativo Mill la giustificò affermando che il modello di democrazia classica (diretta) ateniese, non poteva funzionare, data la grande estensione degli stati. Sarebbe stato necessario un sistema rappresentativo, quindi, che vigili sull’operato del governo attraverso deputati periodicamente eletti. Inoltre aggiunse la necessità della costante presenza di persone insigni, che svolgano una funzione di controllo del governo ulteriore rispetto a quella popolare, giudicata poco esperta. Lo Stato così, si sarebbe dovuto limitare alle sue funzioni primarie di difesa delle libertà, della vita e della proprietà, senza applicare nessun tipo di restrizioni al libero mercato. Mill prese, tra l’altro, una posizione innovativa riguardo alla condizione delle donne, in contrapposizione a tutti i suoi colleghi dell’epoca. Affermava che la subordinazione del sesso femminile, colpiva lo sviluppo dell’uomo e lo limitava. Anche se non proponeva di cambiare le cose all’interno dei partiti già esistenti, bensì, che le donne avrebbero dovuto affermarsi da sole democraticamente. Cercando di unire i principi migliori del liberalismo coi principi migliori dell’antiliberalismo, Mill, è considerato da alcuni critici come ispiratore del futuro welfare state.
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